Il "successo " del REPowerEU (+€900.000.000.000)
Estratto dall trasmissione Del 13 maggio 2024
Il duro commento di Sergio Giraldo
La Commissione che oggi celebra 2 anni di REPowerEU spacciando per risparmi la distruzione della domanda di gas, che ha fatto crollare la produzione industriale. Non si dice quanto REPowerEU è costato. Lo diciamo noi: 900 miliardi, arrotondati per difetto.
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MA NON AGGHIORNA
Trasmissione del 13 maggio 2024
"La guerra d’ucraina compie due anni. Due anni di massacri, morti, distruzioni e dissesti economici che avrebbero potuto essere facilmente evitati. L’europa, purtroppo, è uno dei due grandi sconfitti della politica statunitense, il più grande dei quali è naturalmente l’ucraina.
Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero spinto per l’allargamento della Nato negli anni 90, contrariamente alla promessa fatta a Gorbaciov nel 1990: la Nato non si sarebbe mossa “di un pollice verso est”. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero allargato la Nato a 10 Paesi tra il 1999 e il 2004: Rep. Ceca, Ungheria e Polonia nel 1999; Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovenia e Slovacchia nel 2004. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se la Nato non avesse bombardato Belgrado per 78 giorni di fila nel 1999, facendo a pezzi la Serbia. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero abbandonato unilateralmente il Trattato sui missili anti-balistici e non avessero iniziato a schierare i missili Aegis vicino alla Russia. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non si fossero impegnati a espandere la Nato all’ucraina e alla Georgia nel 2008. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa non avessero sostenuto il violento colpo di Stato contro il presidente ucraino Yanukovich nel 2014. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa (e Francia, Germania e Ucraina) avessero rispettato l’accordo di Minsk II nel 2015-‘21 per dare autonomia al Donbass. Non ci sarebbe stata nessuna guerra se gli Usa avessero negoziato con Putin le proposte della Russia per un nuovo accordo di sicurezza tra Washington e Mosca nel dicembre 2021. E non ci sarebbe stata nessuna guerra oggi se gli Usa non avessero bloccato l’accordo tra Ucraina e Russia che stava per essere finalizzato ad Ankara, in Turchia, nel marzo 2022.
Mentre tengono questo atteggiamento anti-russia, gli Stati Uniti incolpano costantemente la Russia. Ma il punto è che mirano da oltre 30 anni a mantenerla debole e geopoliticamente sottomessa. E il motivo è questo: gli Usa mirano a essere e a rimanere l’egemone globale del mondo, cioè la potenza mondiale con un “dominio a tutto campo” in tutte le parti del mondo, compresa l’europa. Questa politica comporta il fatto che una Russia forte costituisce una minaccia per l’egemonia statunitense, anche se non è una minaccia reale per gli Stati Uniti e per l’europa. Ora gli Usa stanno perseguendo lo stesso approccio nei confronti della Cina, adottando misure commerciali, tecnologiche, militari e finanziarie anti-cinesi per cercare di indebolire Pechino, incolpandola al contempo per il deterioramento delle relazioni.
Il fatto è che Putin non avrebbe permesso alla Nato di entrare in Ucraina, su un confine comune di 2.000 km, tanto più in quanto gli Usa sono dediti a operazioni segrete di “regime change” e a una politica di indebolimento della Russia. Questa ferma opposizione all’allargamento della Nato è evidente almeno dal 2007 (se non da prima), quando Putin chiese la fine dell’allargamento in un discorso molto pubblicizzato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. E da allora fu sempre molto chiaro. Putin lanciò l’operazione militare speciale il 24 febbraio 2022 con l’obiettivo circoscritto di costringere l’ucraina a tornare al tavolo dei negoziati. E la mossa funzionò. Zelensky stava per accettare la neutralità. Ma gli Usa intervennero e dissero all’ucraina di abbandonare il tavolo dei negoziati. Gli Stati Uniti sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino pur di indebolire la Russia.
Tuttavia la guerra non sta indebolendo la Russia, che oggi è più forte di due anni fa, militarmente, geopoliticamente ed economicamente. L’europa è rimasta in silenzio, mentre gli Stati Uniti e gli alleati facevano saltare il gasdotto Nord Stream e lasciavano l’europa alle dipendenze del gas naturale liquefatto statunitense a costi molto elevati. Tutto molto triste. Ora la Germania, il presunto “motore” dell’eurozona, è bloccata in una recessione con una crisi economica a lungo termine sempre più profonda.
È ora che l’europa difenda i suoi interessi, che sono la pace, lo stop all’allargamento della Nato all’ucraina, un sistema di sicurezza basato non sulla Nato ma sull’osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) e il ripristino delle relazioni economiche con la Russia.
L’europa deve scegliere se seguire l’egemonia degli Usa nella guerra perpetua contro la Russia e la Cina, o se invece dotarsi di un sistema di sicurezza proprio che risponda ai suoi reali bisogni e interessi. In questo sistema, la Russia giocherebbe un ruolo costruttivo e l’ucraina sarebbe un Paese neutrale sostenuto dalla sicurezza collettiva in Europa."
Jeffrey Sachs, da il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2024 (foto: Marc Wieland via Unsplash)
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GUERRA AL PENSIERO
Trasmissione del 29 aprile 2024
"Regista poliedrico e spirito libero, Oliver Stone è diventato negli anni un simbolo del libero pensiero. L’autore, tra gli altri film, della pellicola “JFK” (1991) che racconta – tra le altre cose – una realtà ora nota a tutti ma ancora tabù, sta contribuendo anche negli ultimi anni a farci capire le crepe dell’impero USA.
Un impero nel quale perfino il presidente è soggetto a poteri più invasivi. Nel film di Stone, per esempio, si mise in discussione la tesi dell’unico assassino di JFK: troppe cose non tornano, molte delle quali si era preso l’impegno Donald Trump di rendere alla luce. Cosa che, alla fine, non viene fatta.
“Ovviamente gli ho chiesto anche questo“, riferisce la giornalista Martina Pastorelli, che lo ha intervistato. Il resoconto è che dopo aver annunciato in pompa magna la pubblicazione di quei file, Trump fa improvvisamente marcia indietro “per aver subìto pressioni“.
Oggi Biden continua a pubblicare documenti minori, mantenendo le altre carte secretate.
Ma Stone non si è occupato solo di JFK: “Ukraine on Fire è un film uscito nel 2016, ben prima dello scoppio della guerra tra Ucraina e Russia. Lui lì mostra come è stato costruito il nemico, come si sono mistificati i fatti prima che l’Ucraina diventasse un campo di battaglia funzionale agli interessi americani“.
E Stone è fuori dal coro anche sull’ultimo triennio: “Sono vaccinato tre volte“, dice a Pastorelli, “chiunque valuti la questione dei vaccini è del covid deve ammettere che è confusa. I rimedi casalinghi non funzionali al governo sono stati rinnegati, ma con me l’ivermectina ad esempio ha funzionato. E’ questo il problema è diventato illegale dubitare“.
Ascoltate le sue parole ai microfoni di Martina Pastorelli: https://www.youtube.com/watch?v=gxOJUFgfZ1U
(Da Radio Radio, 14 novembre 2023)
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A VOLTE RITORNANO
TRASMISSIONE DEL 22 APRILE 2024
"A qualche settimana dalla presentazione del suo rapporto sul futuro della competitività europea, l’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi si è detto favorevole a perseguire specifiche cooperazioni rafforzate nei settori nei quali l’integrazione latita. Appoggiando nei fatti la posizione francese, l’economista ha citato espressamente l’unione dei mercati dei capitali, strumento ormai ritenuto prioritario per raccogliere denaro fresco.
In un discorso martedì 16 aprile durante una conferenza di due giorni tutta dedicata all’Europa sociale che si sta svolgendo a La Hulpe, un sobborgo residenziale della capitale belga, l’ex banchiere centrale ha tratteggiato a grandi linee l’attesa relazione che dovrebbe essere pubblicata dopo le elezioni europee di inizio giugno. La premessa è molto politica: il mondo è cambiato; le vecchie regole sono ignorate, se non violate; si sono moltiplicati i casi di concorrenza sleale tra paesi.
«Il nostro processo decisionale e i nostri metodi di finanziamento sono stati concepiti per il “mondo di ieri” – ossia pre-Covid, pre-Ucraina, pre-scoppio della crisi in Medio Oriente, prima del ritorno della rivalità tra le grandi potenze – spiega Mario Draghi -. Abbiamo bisogno di un’ Unione europea che sia adatta al mondo di oggi e di domani. Di conseguenza, nella relazione che il presidente della Commissione europea mi ha chiesto di preparare proporrò un cambiamento radicale, perché è ciò che serve».
Nel suo discorso, l’ex presidente della Bce individua quindi tre filoni sui quali l’Europa deve impegnarsi urgentemente: l’uso il più efficace possibile delle economie di scala a livello continentale (superando la frammentazione del mercato in alcuni campi, come quello delle telecomunicazioni); l’urgenza di fornire e finanziare beni pubblici europei; e l’importanza di garantire il rifornimento di risorse indispensabili (non solo materie prime, ma anche manodopera).
«Questi tre filoni – spiega l’ex banchiere - ci devono indurre a riflettere su come organizzarci, su cosa vogliamo fare insieme e su cosa mantenere a livello nazionale (…) Per garantire la coerenza tra i diversi strumenti politici, dovremmo sviluppare un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche. Se ciò non fosse possibile, in casi specifici, dovremmo essere pronti a considerare la possibilità di procedere con un sottoinsieme di Stati membri».
Si calcola che vi sia un monte risparmio in Europa di 33 mila miliardi di euro, e che ogni anno 300 miliardi siano investiti all’estero, in particolare gli Stati Uniti. La frammentazione del mercato unico non è più giustificabile. È diventata nei fatti un ostacolo alla crescita. Sul fronte dell’unione dei mercati di capitale, l’Italia è sullo stesso fronte della Francia. Freddi sono paesi piccoli che del loro centro finanziario hanno fatto una ragion d’essere: il Lussemburgo, ma anche l’Irlanda e i Paesi Bassi.
Mentre questi paesi temono un aumento dei costi e una loro eventuale marginalizzazione, la Germania appare in mezzo al guado. Per anni Berlino è stata fredda all’idea di creare una unione finanziaria, probabilmente per inconfessabili interessi localistici, oggi il cancelliere Olaf Scholz sembra essersi ricreduto (almeno così è sembrato in occasione del vertice europeo di marzo). Si tratta ora per lui di convincere il suo ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner .
«I nostri rivali ci stanno superando perché possono agire come un unico paese con un’unica strategia e allineare tutti gli strumenti e le politiche necessarie – ha concluso Mario Draghi a La Hulpe -. Se vogliamo essere alla loro altezza, avremo bisogno di un partenariato rinnovato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che i Padri Fondatori fecero 70 anni fa con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio».
(da IlSole24Ore del 16 aprile 2024)
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Il green e la burocrazia UE
Estratto dalla trasmissione del 15 aprile 2024
La burocrazia Ue, gli adempimenti, gli incentivi, i controlli.
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ARRIVA LA TEMPESTA?
Trasmissione del 15 aprile 2024
"Teheran ha lanciato contro Israele un attacco con dozzine di droni e missili, alcuni dei quali sono stati intercettati sui cieli di Giordania e Siria. Questa mattina l’esercito israeliano, tramite il portavoce Daniel Hagari, ha fatto sapere che il 99% dei circa 300 proiettili lanciati dall’Iran sono stati intercettati dalle difese aeree dello Stato ebraico. Nello specifico, secondo la ricostruzione delle Forze di difesa israeliane (IDF), l’Iran e alcune milizie filo-Teheran nella regione hanno lanciato 170 droni, nessuno dei quali è entrato nello spazio aereo israeliano. Lanciati anche 30 missili da crociera, di cui 25 abbattuti dall’aeronautica israeliana. Alla risposta hanno partecipato anche le forze di USA e Regno Unito dispiegate nella regione. Hagari ha aggiunto che l’Iran ha lanciato anche 120 missili balistici contro Israele, molti dei quali abbattuti dal sistema di difesa aerea Arrow. Alcuni sono riusciti ad aggirare le difese israeliane, colpendo solo la base aerea di Nevatim, nel sud di Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che il paese è “pronto per qualsiasi scenario“.
L’effetto sortito dall’attacco iraniano sembra essere stato molto limitato. Il sito d’informazione Axios riferisce che, durante una telefonata avvenuta mentre l’attacco era in corso, il presidente americano Joe Biden avrebbe detto a Netanyahu che gli USA non sosterranno un eventuale contrattacco israeliano, pur avendo preso parte attivamente alla difesa dello Stato ebraico durante l’offensiva di Teheran. Con l’attacco al consolato iraniano a Damasco del primo aprile, ampiamente attribuito a Israele in assenza di un’assunzione ufficiale di responsabilità, Tel Aviv aveva dimostrato di poter colpire i luoghi e le persone simbolo della presenza iraniana nella regione. Il raid, che ha provocato la morte di diversi pasdaran, tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi, ha mostrato caratteristiche diverse rispetto agli attacchi che Israele compie ormai da anni in territorio siriano, quasi sempre senza rivendicarli. Se di solito, infatti, le incursioni in Siria delle Forze di difesa israeliane (Idf) prendono di mira depositi di armi e infrastrutture della rete di gruppi e milizie filoiraniane, in questo caso ad essere colpita è stata la sede diplomatica ufficiale di un paese membro delle Nazioni Unite, in una chiara violazione del diritto consuetudinario internazionale, che vede ambasciate e consolati come luoghi “inviolabili”. L’iniziativa è stata sin da subito una sorta di stress test per Teheran, la cui risposta tanto annunciata si è infine concretizzata.
L’innalzamento della tensione fra Israele e Iran coincide temporalmente con il primo concreto disimpegno militare di Tel Aviv dalla Striscia di Gaza dopo sei mesi. Domenica 7 aprile, infatti, l’esercito israeliano ha annunciato di aver ritirato le sue forze di terra da Khan Younis, nel sud dell’enclave palestinese, dopo mesi di raid aerei e operazioni via terra che hanno lasciato gran parte della città in rovina. Le Idf hanno dichiarato domenica che la 98esima divisione aveva “concluso la sua missione” a Khan Younis e stava lasciando la Striscia di. L’esercito israeliano ha però precisato che “una forza significativa guidata dalla 162esima divisione e dalla brigata Nahal continua ad operare nella Striscia per condurre precise operazioni basate sull’intelligence”. Il confronto aperto con l’Iran riporta ora l’attenzione verso un altro fronte, mentre a Gaza non è stato raggiunto l’obiettivo di sgominare Hamas, né tanto meno quello di liberare tutti gli ostaggi israeliani.
Nell’attacco a Damasco del primo aprile scorso erano rimasti uccisi il generale di brigata Mohammad Reza Zahedi, alto comandante della forza Quds del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (Irgc) e il suo vice, il generale Mohammad Hadi Hajriahimi. Zahedi era considerato una delle principali risorse di Teheran nella regione mediorientale in quanto responsabile operativo e logistico in Siria e Libano e uomo di collegamento col partito-milizia libanese Hezbollah per la fornitura di armi iraniane. Zahedi rappresenta inoltre l’ufficiale di grado più alto dell’Irgc a essere stato ucciso da gennaio 2020, quando a essere eliminato fu il generale e leader della forza Quds, Qassem Soleimani, colpito da un raid statunitense in Iraq. Il quotidiano The Times of Israel riferisce che il gabinetto di guerra israeliano non ha ancora stabilito se e quando ci sarà un contrattacco israeliano in risposta all’offensiva iraniana, ma resta il fatto che gli USA non sembrano pronti a sostenere attivamente Israele in questo tipo di scenario, sospendendo per il momento l’ipotesi di un temuto allargamento del conflitto."
("L'Iran attacca Israele, e adesso?", da ISPI 90 del 14.4.2024)
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Gavino Sanna: Ok il prezzo è giusto
Trasmissione del 26 marzo 2019
Gavino Sanna torna su @MegliodinienteR per parlarci del funzionamento del sistema dell'informazione economica in Italia partendo da un caso concreto, il passaggio lira/euro e il supposto raddoppio dei prezzi.
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Cittadini o consumatori? Antonello Zedda intervista Gavino Sanna
Trasmissione del 17 ottobre 2018
Chi è Gavino Sanna?
"Sono nato a Torino il 29 luglio 1967, mi occupo a tempo pieno di consumerismo dal 1994. Ho iniziato per caso, svolgendo un anno di servizio civile presso il servizio legale dello sportello del Movimento Consumatori a Torino.
Dal 1996 sono presidente di Associazione Consumatori Piemonte. Dal 1999 al 2004 sono stato Segretario Generale del Movimento Consumatori e in questo momento sono membro del direttivo nazionale. Nel 2002 e 2003 Presidente del Centro Europeo Consumatori a Roma.
Sono stato responsabile di numerosi progetti a livello nazionale ed europeo sulla tutela consumatori e per tre mandati membro del Consiglio Camerale delle Camere di Commercio di Torino e Biella in rappresentanza del settore associazioni consumatori.
L’obiettivo principale di questo blog è tentare un’analisi critica del modello di tutela consumatori che è stato adottato in Italia dal 1998, a seguito dell'approvazione della prima legge quadro sulla tutela dei consumatori e degli utenti. Un modello che si è perfezionato con l'approvazione del Codice del Consumo nel 2005 e che viene aggiornato e "arricchito" costantemente.
Ma oggi siamo così protetti come cittadini-consumatori? Questo modello di tutela funziona davvero?
Proveremo a capirlo partendo dalle basi:
- Tutela dei consumatori: quando nasce e come si sviluppa.
- Il consumatore: mera definizione legale o soggetto politico?
- Stato e mercato, cittadino e consumatore: analisi macroeconomica.
- Ruolo delle associazioni consumatori: avvocati low cost o sindacato dei consumatori?
- Tutela consumatori e sistema dell'informazione." https://www.consumatoripiemonte.it/content/index.php
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La lotta di classe nel XXI secolo.
4 aprile 2024
Intervento Di Lidia Undiemi a "giù la maschera", condotto da Marcello Foa
Tema: lavoro, globalizzazione, politica,lotta di classe.
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Green, luteranesimo, bollette ed gli incentivi per le rinnovabili
Estratto da "indietro non si torna" del 25 marzo 2024
Sergio Giraldo commenta il "green e illustra alcune voci delle nostre bollette.
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INDIETRO NON SI TORNA
Trasmissione del 25 marzo 2024
◾ Giornalista: “Professor Maynards, nelle ultime settimane sul suo blog e sul sito del vostro movimento lei ha ferocemente criticato la Commissione per il progetto di legge sulla messa al bando di Wikileaks, nonostante provvedimenti simili siano già stati adottati in molti Paesi, tra cui i nostri principali alleati, gli Stati Uniti d’America.”
◾ Prof. Johnathan Maynards: “Come non sarà sfuggito neppure a lei, il provvedimento fa molto di più che limitarsi a dichiarare Wikileaks illegale.Con questo provvedimento presto Wikileaks potrebbe essere classificata come – cito testualmente – un’“organizzazione la cui attività di divulgazione di materiale sottratto ai legittimi proprietari in maniera illecita costituisce, di fatto, supporto al terrorismo internazionale” e quindi, per estensione, come organizzazione terroristica tout court.
Anche chi la finanzia, gli fornisce servizi di hosting, server, domini internet o mirroring, sempre per estensione sarà considerato un terrorista e potrà essere perseguito e giudicato sulla base delle speciali procedure antiterrorismo e non di quelle ordinarie.”
◾G.: “Lei crede che non esista alcuna relazione fra l’attività della piattaforma e il terrorismo?”
◾J.M.: “Non è questo il punto. A mio avviso, l’illegalità dell’attività dell’organizzazione non è fondata giuridicamente, ma una definizione di comodo dettata da una scelta politica: la salvaguardia dell’intrasparenza e dell’impunità di agenzie governative e dei Servizi d’informazione di tutto il mondo. Mettere Wikileaks sullo stesso piano delle Brigate Rosse, della RAF, dell’IRA o di IS è semplicemente insensato.”
Questo mantra della lotta al terrorismo è ormai una vera e propria ideologia. Si sta usando per giustificare qualsiasi comportamento deviato, abuso e crimine commessi oggi e a maggior ragione che si commetteranno in futuro se questo progetto fosse approvato dal Parlamento Europeo.”
◾G.: “Al momento il terrorismo islamico è confinato prevalentemente all’esterno di Europa; solo sporadicamente si verificano episodi sul nostro territorio. Questa crescente sporadicità potrebbe essere un segnale di successo delle politiche della Coalizione, non le pare?”
◾J.M.: “Non soltanto credo che il terrorismo a sfondo religioso non scomparirà del tutto, ma a mio avviso un’importanza analoga assumerà il terrorismo interno, il terrorismo politico. Per quanto ne so, è sempre stata la percezione di un nemico interno invisibile a giustificare gli atti più antidemocratici e liberticidi nei Paesi occidentali: penso al Patriot Act americano, o ai provvedimenti della Turchia dopo il presunto golpe. Provvedimenti inaccettabili che in condizioni di normalità avrebbero provocato una rivoluzione popolare, ma che sull’onda dell’emozione e dello smarrimento possono venire imposti facilmente sfruttando il famoso principio meno libertà in cambio di maggiore sicurezza.”
◾G.: “Nel nostro continente il terrorismo politico è scomparso da cinquant’anni; per quale motivo dovrebbe riaffacciarsi proprio adesso?”.
◾J.M.: “Un’eventuale esplosione del terrorismo politico e sociale all’interno del continente potrebbe essere prontamente strumentalizzata; diciamo ad esempio per proporre ulteriori e ancor più stringenti provvedimenti giuridici di limitazione dei diritti, personali e civili, delle facoltà democratiche, delle garanzie costituzionali, anche sul nostro Continente. Il decreto per la messa al bando di Wikileaks non sarebbe nulla a confronto.”
◾G.: “Si è fatto delle idee in merito a questo sviluppo del terrorismo politico?”
◾J.M.: “Nelle campagne e nelle periferie cittadine di ogni Paese europeo ci sono già tutti i presupposti per l’esplosione di un conflitto sociale senza precedenti. Questo è il seme del bisogno e del malcontento, dell’egoismo e della disperazione che la nostra classe politica e la nostra classe dirigente insieme hanno sparso a piene mani. Questo è il terreno fertile per la xenofobia, la violenza politica e sociale, il successo del populismo e dell’estremismo politico, il terrorismo interno.”
◾G.: “Concretamente, cosa possiamo aspettarci secondo lei?”
◾J.M.: “Le dico come lo immagino: per prima cosa mettendo fuori gioco i responsabili e rappresentanti di un partito, ad esempio infiltrando nella base d’iscritti un gran numero di nuovi soggetti estranei, in grado di divenire maggioranza e sostituire le classi dirigenti interne. Dopodiché cambiando la linea politica del partito: adottando temi e slogan xenofobi o illiberali, parole d’ordine aggressive, atteggiamenti fascisti e violenti; in realtà con l’obiettivo di mettere in secondo piano la critica e la denuncia fattuale sostituendola con slogan ed emozioni. Rendendo di fatto l’intera organizzazione poco credibile, poco seria; in una parola: improponibile.”
(Da "Uropia - il protocollo Maynards", 2019)
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LA GUERRA È GUERRA
Trasmissione del 18 marzo 2024
"Nella prima metà del ventesimo secolo, la classe Media cercò di conseguire il potere con una pretesa ricerca di giustizia per tutti: "In tutte le varianti del Socialismo apparse dal 1900 in avanti l'obiettivo di conseguire libertà ed uguaglianza venne sempre più apertamente abbandonato. I nuovi movimenti politici che comparirono alla metà del secolo...hanno avuto lo scopo specifico di perpetuare la non libertà e la disuguaglianza"; perché il vero obiettivo era terminare la Storia, diventando una perpetua classe dominante (gli Alti) - composta non da aristocratici o plutocrati ma da "burocrati, scienziati, tecnici, sindacalisti, pubblicisti, sociologi, insegnanti, giornalisti e politici di professione" originari della "classe media dei salariati e dai livelli più alti della classe lavoratrice".
Inoltre, nella metà del ventesimo secolo, la tecnologia ha reso possibile la fattibilità di una società totalitaria; apparecchiature elettroniche, quali i televisori rice-trasmittenti, rendono possibile lo spionaggio continuo della popolazione da parte del governo: "La possibilità di definire, non solo la completa obbedienza alla volontà dello Stato, ma la completa uniformità di pensiero su tutte le materie, ora esisteva per la prima volta".
Viene illustrato il meccanismo della guerra perpetua, funzionale alla distruzione del surplus di produzione di beni e servizi e al mantenimento di un clima psicologico delle masse di isterismo e odio costante. In questo capitolo si spiega anche il funzionamento della scienza tecnologica coi limiti imposti dall'ideologia, dalla neolingua e dal bispensiero: la scienza in teoria è impegnata nello sviluppo di armi apocalittiche (addirittura i terremoti artificiali), ma in realtà essa resta pressoché bloccata in un eterno presente, data l'assoluta mancanza di necessità di nuove armi e - ovviamente - di ogni progresso che possa migliorare le condizioni di vita umane. In teoria piccoli progressi sono stati compiuti nelle tecnologie belliche (come la sostituzione dei bombardieri con armi teleguidate), ma in generale il livello medio della vita è regredito, tanto che per esempio la meccanizzazione agricola sembra scomparsa e le arature sono tornate alla trazione animale.
Il progresso viene infatti concepito solo per tutto ciò che possa allargare la sfera del potere del Socing e restringere la libertà dei singoli individui. Il capitolo riassume gli obblighi dell'élite del Partito Interno essenzialmente nel non consentire la morte dei propri sudditi in maniera massiccia (tale da costituire una minaccia demografica al proprio potere) e contemporaneamente mantenere il proprio superstato al medesimo livello militare degli altri due. Assolti questi due compiti del tutto funzionali solo ai propri scopi, l'élite può plasmare la realtà a suo capriccio.
Al fine di salvaguardare la fondamentale fiducia nell'onniscienza ed infallibilità del Grande Fratello e del Partito, il Miniver pratica una continua falsificazione della storia in modo tale che il passato non abbia oggettiva esistenza, dato che esso risiede nei documenti e nella memoria. I documenti vengono quindi distrutti, falsificati o creati ex novo alla bisogna, e la memoria confusa con la propaganda, il bispensiero o quando necessario, il lavaggio del cervello, affinché la versione corrente della memoria storica collettiva coincida sempre con quella ufficiale del Partito. In sostanza, la storia non esiste più poiché se i fatti storici negano la versione ufficiale pro tempore decisa dal Partito, "si cambiano i fatti".
Al fine di prevenire la non ortodossia, il Partito inculca nei suoi membri l'abitudine di pensiero chiamata Bispensiero, ovvero la capacità di cambiare opinione all'istante, credendo con profonda convinzione nella nuova versione dei fatti anche se questa dovesse essere in palese contraddizione con quanto espresso pochi istanti prima. Una volta applicata, questa tecnica permette di ovviare allo Psicoreato ovvero la deviazione dall'ortodossia di pensiero dettata dal Partito e dal Grande Fratello." (Da Wikipedia)
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PRIMA DELLA CATASTROFE
Trasmissione del 11 marzo 2024
"Isteria e allarmismo dominano il dibattito europeo sulla crisi ucraina e sullo scontro con la Russia. “Ciò che guida la politica europea in questo momento è la paura”, ha scritto recentemente il Telegraph in un articolo che tradiva tanto la russofobia britannica quanto l’irritazione di Londra nei confronti della Germania e del suo cancelliere Olaf Scholz.
I dissapori fra le varie capitali europee sono tuttavia conseguenza di un improvviso “risveglio”. Dopo essere cadute vittima della loro stessa propaganda, le élite politiche europee si stanno riavendo dalla sbornia, per scoprire che Kiev sta effettivamente perdendo la guerra.
“La guerra è persa ma i nostri governi rifiutano di ammetterlo. Invece, fingono che si possa ancora vincere – anzi, bisogna vincere per evitare che “Putin” marci verso Finlandia, Svezia, gli Stati baltici, e infine Berlino. Due anni fa ci fu promesso che oggi al più tardi la Russia sarebbe stata completamente sconfitta, economicamente, militarmente e politicamente. Ma le sanzioni si sono rivelate un boomerang, e i carri armati Leopard II non erano sufficienti…”
A scrivere queste parole è Wolfgang Streeck, direttore emerito dell’Istituto Max Planck di Colonia. Il quale prosegue:
“È ora di chiedersi chi ha messo gli ucraini in questo pasticcio – chi ha detto all’estrema destra ucraina che la Crimea sarebbe tornata in mano loro? Per evitare tali domande, la classe politica europea è disposta a lasciare che il massacro continui sulla linea congelata del fronte ucraino – cinque anni, dieci anni – nessun problema, tanto saranno solo gli ucraini a combattere. Ma cosa succederà se si rifiuteranno di stare al gioco e di morire per i “nostri valori”?
Streeck è per certi versi una voce fuori dal coro, in quanto lascia trasparire segni di ripensamento dai quali la maggioranza dell’intellighenzia europea sembra tuttora immune.
A titolo di esempio, nella stessa miscellanea di riflessioni sulla guerra, raccolte dal britannico New Statesman in occasione del secondo anniversario dello scoppio del conflitto, Ivan Krastev, presidente del Centro per le Strategie Liberali con sede a Sofia, in Bulgaria, scrive:
“Ciò che rende il momento attuale radicalmente diverso dall’inizio della guerra o addirittura dalla situazione di un anno fa è che, ora, i governi e un numero crescente di cittadini europei hanno iniziato a percepire la guerra non in termini di solidarietà con l’Ucraina, ma di difesa dei fondamentali interessi di sicurezza dei vicini europei della Russia”.
L’opinione di Krastev non va scartata troppo frettolosamente come il punto di vista di un esponente dell’Europa dell’Est. E’ proprio tale punto di vista, infatti, che sta prendendo il sopravvento, con la complicità di Washington, all’interno dell’UE e della NATO.
Lo conferma il recente viaggio a Praga del presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha accettato il piano ceco di acquistare 800.000 proiettili d’artiglieria da paesi non appartenenti all’UE per rifornire l’Ucraina.
Inizialmente Parigi si era detta contraria a spendere denaro europeo al di fuori dell’Unione, affermando che sarebbe stato preferibile investirlo nell’industria della difesa del vecchio continente. Ma il nuovo ordine di scuderia a livello europeo è che non c’è tempo, bisogna soccorrere Kiev.
In linea di principio, di fronte all’improvvisa realizzazione che l’Ucraina sta perdendo la guerra, l’Europa potrebbe scegliere fra due opzioni strategiche: tagliare le perdite imboccando la strada del compromesso con Mosca, oppure aumentare nuovamente la posta in gioco. La fazione che propende per la seconda ipotesi è tuttora dominante nel dibattito politico europeo.
Preso atto dell’impossibilità di recuperare i territori ucraini perduti, la nuova priorità europea ed occidentale è preservare lo Stato ucraino e consolidarne la sua posizione all’interno del blocco euro-atlantico.
Come scrive sul Financial Times lo stesso Krastev (che è anche membro del Consiglio di fondazione dell’ European Council on Foreign Relations, e del comitato consultivo dell’ Open Society Foundations, istituto fondato da George Soros), “ciò che è non-negoziabile non è tanto l’integrità territoriale dell’Ucraina, quanto il suo orientamento democratico e filo-occidentale”.
Krastev traccia quindi un parallelo fra l’Ucraina e la Germania Ovest durante la Guerra Fredda. L’analogia è illustrativa perché implica la possibilità di una riunificazione alla prima occasione.
Ma, fino a quando l’Occidente si ostinerà a voler inserire l’Ucraina nell’architettura di sicurezza occidentale – osserva il noto analista russo Fyodor Lukyanov – Mosca sarà costretta a rispondere, a prescindere dal fatto che Kiev aderisca ufficialmente alla NATO o meno.
Le conseguenze sono ovvie: siamo tuttora di fronte a una prospettiva di escalation."
(Roberto Iannuzzi, Intelligence for the people, 8.3.2024)
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EUrocrati, la morale e la realtà
Estratto dalla trasmissione "DALLA GUERRA AL VIRUS AL VIRUS DELLA GUERRA"
Un tragico racconto che ha dell'incredibile.
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DALLA GUERRA AL VIRUS AL VIRUS DELLA GUERRA
Trasmissione del 4 marzo 2024
«Quando nel 2020, insieme alla pandemia, ha cominciato a dilagare il paradigma bellico per narrare l’impegno collettivo per salvare le vite, svolgendo una critica alla banalizzazione della realtà che questo comportava ed ai suoi rischi, scrivevo – tra le altre cose – che il continuo far ricorso al paradigma della guerra, allo sforzo bellico di chi è in “trincea” contro il virus, rimanda alla “ri/costruzione di un immaginario positivo della guerra come sforzo collettivo, come mobilitazione patriottica, come esaltazione della potenza militare”.
Da lì ad un anno, questo paradigma avrebbe modellato la realtà, inverandosi nella nomina di un generale di corpo d’armata a Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, portando con sé notevoli implicazioni culturali e politiche nella ridefinizione dell’immaginario collettivo, che oggi si stanno manifestando in tutta la loro potenza di fuoco all’interno del passaggio repentino dalla “guerra” al virus al virus della guerra guerreggiata, in cui la “necessità” del coinvolgimento italiano – non in un processo di mediazione e interposizione tra le parti, ma attraverso l’invio di armi a sostegno di una parte (dopo un decennio di vendita all’altra, ndr) – è diffusa ossessivamente nella narrazione pubblica e confermata nelle scelte politiche.
Eliminando qualunque possibilità di analisi più complessa dello schierarsi sull’attenti con l’elmetto in testa.»
(Da "Vita.it", 6 marzo 2022)
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25 ANNI DOPO
«Il 24 marzo del 1999 la NATO decise senza alcuna autorizzazione delle Nazioni Unite di avviare l’operazione “Allied Force”, una serie di bombardamenti sulla Repubblica di Jugoslavia che in 78 giorni provocarono morte e distruzione. In Serbia e in Kosovo, oltre agli obiettivi militari, vennero colpiti anche quelli civili: così caddero case, ospedali, scuole, edifici pubblici e culturali, lasciando un numero indefinito di vittime. Ancora oggi si parla soltanto di stime, con cifre che variano fra i 1200 e 2500 morti, non dimenticando gli oltre 12000 feriti che l’intervento NATO causò nella prima guerra combattuta in Europa dopo i due conflitti mondiali.
Significativo appare oggi, alla luce dell’anniversario dell’Allied Force, rileggere l’articolo 1 dello Statuto della NATO: “Le parti si impegnano, come stabilito nello Statuto delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale in cui potrebbero essere coinvolte, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza assolutamente incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite”»
(Da "L'Indipentente" del 24 marzo 2022)
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«LE GRANDI CONQUISTE E I VANTAGGI TANGIBILI DELL'EU
Dal 1957 l'Unione europea ha ottenuto grandi risultati per i suoi cittadini e il mondo:
- un continente in pace
- la libertà dei cittadini di vivere, studiare o lavorare ovunque nell'UE
- il più grande mercato unico del mondo
- aiuti e assistenza allo sviluppo per milioni di persone in tutto il mondo.
PACE E STABILITÀ
L'UE ha prodotto oltre mezzo secolo di pace, stabilità e prosperità. Svolge inoltre un ruolo importante nella diplomazia e si adopera per promuovere questi stessi benefici, come pure la democrazia, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto, in tutto il mondo.
Nel 2012 l'UE ha ricevuto il premio Nobel per la pace per i risultati ottenuti in questo campo.
70 ANNI DI PACE DURATURA
La politica estera e di sicurezza comune dell'UE è concepita per risolvere i conflitti e promuovere una migliore comprensione fra i popoli, sulla base della diplomazia e del rispetto delle norme internazionali.»
(Dal sito ufficiale dell'Unione Europea:)
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«C'è un aspetto che io sento come molto negativo cioè l'ipocrisia.
L'ipocrisia dominante perché tu non lo puoi più dire che quella è una guerra, la chiami in un altro modo.
Fai finta che non lo sia, il che poi permette anche naturalmente di fare anche il contrario, di fare come si fa in certi paesi europei oggi in cui si dice alla gente: "guardate che siamo in guerra", anche se non siamo affatto in guerra, però ve lo posso dire perché è tutto talmente confuso mancano confini precisi.
Questa è una cosa pericolosa.»
(Dalla conversazione di A. Barbero al Liceo Alfieri di Torino il 26 febbraio 2024 su dissidenti, guerre, politica ed elite.)
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«L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»
(Art. 11 della Costituzione)
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BUONI E CATTIVI
Trasmissione del 26 febbraio 2024
Noi i Buoni, loro i Cattivi.
Ma il resto del mondo, come ci vede?
https://www.aljazeera.com/program/the-listening-post/2024/2/24/media-heroes-and-traitors-assange-vs-navalny
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Estratto da "IL VELO È CADUTO
Estratto dalla trasmissione del 19 febbraio 2024
Sergio Giraldo,la politica UE, il generatore di problemi.
"Due ambizioni rischiano di travolgere l’Europa: il Green Deal, cioè l’obiettivo di azzerare
entro il 2050 le emissioni nette di gas a effetto serra, e l’autonomia militare, cioè non essere più dipendenti dalla protezione degli Stati Uniti. Sono entrambi obiettivi irrinunciabili. In un caso perché
lasceremmo ai nostri nipoti un Pianeta in cui si rischierebbe di non poter più vivere; nell’altro perché, se Trump ritornasse alla Casa Bianca, l’Europa, che oggi spende per la propria difesa un terzo di quanto spendono gli Stati Uniti, sarebbe alla mercé di Vladimir Putin. Non rinunciare alla
transizione verde e acquisire maggiore autonomia militare non è impossibile ma richiede volontà politica e soprattutto un bilancio europeo comune, cioè richiede di fare ciò che fecero due secoli fa gli Stati Uniti d’America. Finora questa prospettiva era un’utopia. Oggi, grazie a Putin e alla paura di diventare suoi sudditi, potrebbe essere un sogno realizzabile. Spinta da tanti giovani ovunque nel mondo, la Commissione europea si era convinta che arrestare il surriscaldamento del Pianeta fosse una scelta inevitabile. Ma non si è chiesta quanti, a causa del Green Deal, potrebbero perdere il lavoro nella transizione da qui al 2050, né che fare per proteggerli. Stiamo compiendo un
salto in avanti che rischia di essere fermato dai cittadini. Lo si è visto nelle elezioni olandesi, nelle proteste degli agricoltori. l risultato è che il Parlamento europeo ha fortemente indebolito le norme sui pesticidi, sulle emissioni di CO2 negli allevamenti bovini, sugli imballaggi, ha votato di ritardare la data del 2050 e Ursula von der Leyen ha riconosciuto che il progetto di transizione verde dovrà essere ripensato. Ma possiamo permetterci di tradire l’impegno di lasciare ai nostri nipoti un pianeta vivibile? L’Europa sembra essere in un vicolo cieco. Se persegue le sue ambizioni, quelle
verdi in primo luogo, verrà fermata dagli elettori. Se vi rinuncia, anche questa Commissione passerà alla storia come quella che non ha saputo resistere alle lobby degli agricoltori, delle case automobilistiche e dei cementieri. Lo stesso vale per la difesa: se non facciamo un salto, e possiamo farlo solo creando un esercito comune, rischiamo di essere sopraffatti dall’esterno, da Putin o dal terrorismo islamico. Non è solo il bilancio dell’Ue, troppo piccolo, è anche la mancanza di cooperazione tra Stati membri che non ci consente di essere militarmente autonomi. Circa l’80% degli appalti pubblici e il 90% della ricerca e delle tecnologie nel settore della difesa sono gestiti a livello nazionale, con costose duplicazioni. Un Fondo europeo per la difesa fu creato nel 2021, ma per i sei anni dal 2021 al 2027 il Fondo dispone solo di 8 miliardi di euro. Il Pentagono spende circa 700 miliardi di dollari l’anno di cui circa 150 in ricerca e sviluppo. È improbabile che un esercito comune sarebbe oggi accettato dai governi: pensate che Macron rinunci alla «force de frappe » di Parigi? Ma i cittadini sembrano più lungimiranti. L’ultima indagine di Eurobarometro
ci dice che il 77% degli europei è a favore di una politica di difesa e di sicurezza comune. L’80% ritiene che andrebbe rafforzata la cooperazione in materia di difesa a livello Ue; il 77% ritiene che l’acquisto di attrezzature militari da parte degli Stati membri dovrebbe essere coordinato; il 69% auspica che l’Ue rafforzi la sua capacità di produrre materiale militare e il 66% afferma che dovrebbero essere destinati più fondi per la difesa nell’Ue. Oggi i cittadini più ricchi, quelli che
possono permettersi di guardare al futuro dei loro nipoti, si rendono conto che la transizione verde è necessaria. Ma la maggioranza teme che i costi ricadrebbero tutti su di loro. In altre parole, il problema è che i benefici andranno tutti alle generazioni future, mentre i costi verranno
sopportati dalla generazione alla quale appartengono gli elettori di oggi. Non è sorprendente che l’atteggiamento verso il Green Deal stia rapidamente cambiando. C’è un modo per allineare costi e benefici, evitando che la generazione che oggi vota abbia solo da sopportare dei costi, e che i
benefici vadano solo a chi non è ancora nato? Il debito pubblico può riallineare costi e benefici.
Siamo soliti pensare al debito come un onere scaricato sui giovani di domani. Non è necessariamente così. C’è un’altra funzione del debito: si può, ad esempio, emettere debito per proteggere chi, per colpa del Green Deal, perde il lavoro. Con quel debito si finanziano sussidi di disoccupazione e attività di riqualificazione dei lavoratori, un’esperienza che la Commissione europea ha già fatto con il fondo Sure varato per proteggere i lavoratori che avevano perso il posto durante la pandemia. Così si compensano gli elettori di oggi. Quelli di domani dovranno ripagare
il debito che oggi si emette, ma godranno i benefici di un ambiente vivibile e, nel caso della difesa, di un Continente libero. È però uno scambio che nessun Paese europeo, da solo, può organizzare perché i singoli Paesi, anche la Germania, sono troppo piccoli per collocare sul mercato la massa di titoli pubblici che sarebbe necessario emettere. La soluzione è emettere debito europeo comune, come si è fatto durante la pandemia, per Sure e per Next Generation Eu (Ngeu), cioè titoli emessi dall’Ue ma garantiti da tutti i Paesi membri. Lo hanno appena fatto gli Stati Uniti, un Paese
la cui popolazione è inferiore a quella dell’Ue: 330 milioni di cittadini contro i nostri 450. L’Inflation Reduction Act (Ira) del presidente Biden (che nonostante il nome non ha nulla a che fare con l’inflazione) comporta maggior debito per un trilione di dollari, una volta e mezza l’investimento previsto dal Ngeu. Un Ira europeo dovrebbe valere come almeno due Ngeu. Dal punto di vista dei mercati sono dimensioni possibili: i risparmiatori di tutti i Paesi ricchi abbastanza per risparmiare
sono costantemente alla ricerca di titoli sicuri nei quali investire, come lo sono i titoli emessi dal governo degli Stati Uniti e come lo sarebbero i titoli dell’Ue. La domanda quindi c’è, ciò che manca, in Europa, è la volontà politica di emettere tanto debito comune. Forse oggi questo sta cambiando".
(Giavazzi, corriere della Sera, 18 ott 2024)
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IL VELO È CADUTO
Trasmissione del 19 febbraio 2024
"Ore 23. Combattiamo una battaglia contro l’emendamento 4.2 Bagnai (un nome una garanzia) che rinvia per l’ennesima volta le multe per chi se n’è fregato della scienza e non si è vaccinato durante il Covid. Tra l’imbarazzo anche di una parte della maggioranza, quella che non ha venduto tutta l’anima al cialtronismo e al populismo. #FuckNoVax pic.twitter.com/7qNktu2ySq"
— Luigi Marattin (@marattin) February 13, 2024
"Fogna, stamattina ho ridefinito il termine. “Feccia” mi pareva in fondo troppo morbido. Fogna anonima social-no vax.
Per anni troppi miei colleghi (e partecipanti al dibattito pubblico, con poche eccezioni come @RobertoBurioni ) hanno avuto paura di questa mandria di vigliacchi… https://t.co/vIFXnzRxMk"
— Luigi Marattin (@marattin) February 15, 2024
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LA CENSURA È SERVITA
Trasmissione del 12 febbraio 2024
Ci sono individui che nascono in un momento sbagliato della storia, o meglio sono stati di certo utili per la loro epoca (seppur spesso non apprezzati) ma sarebbero stati più utili in altre, successive. È il caso di Armand Robin, nato in Bretagna nel 1912 e morto a Parigi nel 1961. I suoi genitori erano contadini bretoni assolutamente ignari della lingua francese, lui è un alunno brillante, frequenta il liceo, poi si getta, a corpo morto, nello studio delle lingue. A vent'anni vince una borsa di studio che lo porterà in Polonia e in Unione Sovietica. Vivendo per alcuni mesi in un kolchoz si rende conto di cosa sia il comunismo (reale) per i contadini russi, creando in lui una profonda, definitiva, disillusione verso la sua ideologia giovanile che, inorridito dalla sua execution, rifiuterà per sempre, diventando un intellettuale in odore di anarchia.
Mal gliene incolse. Come succede a quelli che oggi rifiutano il politicamente corretto delle classi dominanti occidentali.
Nel dopoguerra i suoi loschi colleghi intellettuali francesi, due su tutti, Louis Aragon e Paul Éluard, lo accusarono di un triplice infamante reato «collaborazionismo, individualismo, anticomunismo», iscrivendolo nella lista nera degli indesiderabili. Essendo costoro dei tipici fascisti mascherati da antifascisti, impregnati fino alle midolla del pensiero unico di sinistra non potevano far altro. Il mondo attuale con il pensiero digitale al potere non mi pare molto diverso, infatti le felpe di Silicon Valley e i gerarchi cinesi sono sulla stessa linea di pensiero, unico e monopolista. Nel 1941 Robin scriveva: «La pietra di paragone del vero scrittore è sentirsi libero comunque, cosa che può facilmente ottenere se evita di far dipendere il suo ruolo di uomo da un ruolo politico». Parole impronunciabili allora, e pure ora, nell'orrendo mondo del politicamente corretto che dobbiamo subire.
Dopo essersi impossessato di tutte le lingue europee, quindi del cinese, del russo, dell'ebraico, dell'arabo, oltre a fare il traduttore di libri, per campare si inventa un mestiere nuovo, spossante ma incredibilmente moderno: l'ascoltatore radiofonico ed estensore dei relativi bollettini di sintesi. Ascolta tutte le radio, da quelle naziste, a quelle dei partigiani francesi, a quelle anglosassoni, a quelle sovietiche. Nel 1953 ci scrive un libro La fausse parole (in italiano L'indesiderabile. La falsa parola e altri scritti, Giometti & Antonello editore in Macerata). È l'occasione per sbugiardare l'imponente sistema propagandistico organizzato dai sovietici e del suo contraltare occidentale. Lo sforzo di Robin non solo di stare sempre desto nell'ascolto, ma anche incorruttibile nel pensiero, nel mio piccolo di ex manager imprestato al giornalismo lo capisco e con lui mi ci ritrovo.
Nell'epoca delle fake news (sia quelle istituzionali del potere, sia quelle private dei social) alle quali si stanno aggiungendo le fake truth (fatti autentici ma accostati in modo distorto) un personaggio come Armand Robin sarebbe stato un dono, per quelli di noi che lottano per rimanere liberi, sotto l'assedio violento, seppur suadente, della distorsione intellettuale e linguistica del Ceo capitalism. Queste sue parole sono di bruciante attualità: «Conoscere il potere equivale a essere riusciti a sfuggirgli; dargli un nome è distruggerlo; descriverlo nel dettaglio, con la stessa obiettività con cui gli entomologi descrivono un insetto, è persino peggio di distruggerlo».
Paolo Febbraro, poeta, che l'ha recensito, scrive: «… quella realtà della coscienza che resta incombusta persino dopo gli assalti brucianti degli sparvieri mentali, cioè i grandi ingegneri novecenteschi delle psicologie di massa». (Che bello il termine «sparvieri mentali!» Infatti, che altro sono Angela Merkel, Emmanuel Macron, Xi Jinping?)
Mi sento confortato, con il giovane amico coautore ora possiamo procedere a stilare le conclusioni del nostro libro sul mondo inquietante del Ceo capitalism, nato dal concime del Sessantotto quando, profeticamente, Allan Bloom scrisse: «Il fascismo ha un futuro, anzi è il futuro»."
(Riccardo Ruggeri, da Italia Oggi n.239 del 10/10/2018)
Immagine: Paolo Niutta capselling.it
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Ue, agricoltori, il tunnel della globalizzazione.
Estratto dalla trasmissione COMING SOON? del 5 febbraio 2027
Sergio Giraldo commenta la protesta degli agricoltori.
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COMING SOON?
Trasmissione del 5 febbraio 2024
Mentre negli Stati Uniti Esg è diventato un acronimo la cui pronuncia è quasi vietata, si avvicina a grandi passi, proveniente da Bruxelles, un altro adempimento, che somiglia all’ennesimo balzello sotto mentite spoglie, per le nostre imprese: il report di sostenibilità rispetto ai fattori Esg (ambiente, sociale e governo societario).
Il pallino è nelle mani della Commissione Politiche Ue del Senato – che ha avviato il 22 dicembre l’esame del testo già approvato dalla Camera della legge di delegazione europea 2022-2023.
L’esame degli emendamenti è cominciato mercoledì 24 con l’esito prevedibile di vederli tutti accantonati o respinti. A Palazzo Madama non c’è alcuna voglia di modificare alcunché per mandare il testo in terza lettura a Montecitorio.
Il timore è che un eventuale allungamento dei tempi possa indurre l’Unione europea ad aprire procedure di infrazione nei confronti dell’Italia per mancata attuazione delle direttive che intanto sono giunte a scadenza.
La direttiva che qui ci interessa è la 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive), di cui si occupa l’articolo 13 del Ddl, per stabilire i principi e criteri direttivi specifici che guideranno il governo nel recepimento e nella stesura del decreto legislativo che disciplinerà questo nuovo obbligo per le imprese.Tale decreto attuativo, come annunciato qualche giorno fa dal dirigente del Mef, Stefano Cappiello, sarà reso disponibile in consultazione agli operatori interessati.
Poiché la delega deve essere esercitata dal governo entro il 6 marzo 2024, quattro mesi prima della scadenza del termine per il recepimento, nel nostro caso fissato dalla UE al 6 luglio 2024, il Senato deve fare in fretta, perché poi il governo avrà tempi ristrettissimi per scrivere i decreti delegati.
La rendicontazione diversa da quella finanziaria non nasce con questa direttiva, ma esiste dal 2016. La novità prevista per i prossimi anni – con un calendario graduale – è quella di estendere la platea delle imprese interessate e allargare la massa di informazioni da fornire, con specifica attenzione ai fattori Esg. Le imprese coinvolte a livello Ue dovrebbero passare da 11.700 a 49.000 di cui circa 4.000 soltanto in Italia. Oltre alle imprese pubbliche e a tutte le quotate sui mercati regolamentati, anche PMI in quest’ultimo caso, saranno coinvolte (dai bilanci dell’anno 2025) anche le grandi imprese non quotate. Basterà superare due su tre soglie dimensionali – 20 milioni di attivo, 40 milioni di fatturato e 250 dipendenti – e l’adempimento scatterà. Soglie che rimandano a dimensioni aziendali non proprio di una multinazionale, ma che coinvolgono la spina dorsale del nostro tessuto produttivo.
La legge ormai in dirittura d’arrivo al Senato fornisce al governo – nel ruolo di legislatore delegato – la possibilità di “esercitare, ove ritenuto opportuno, le opzioni normative previste dalla direttiva 2022/2464, tenendo conto delle caratteristiche e delle peculiarità del contesto nazionale di riferimento, dei benefici e degli oneri sottesi alle suddette opzioni, della necessità di garantire la tutela dei destinatari di tali informazioni di sostenibilità, nonché l’integrità e la qualità dei servizi di attestazione della conformità della rendicontazione di sostenibilità, tenuto conto anche della fase di prima applicazione della nuova disciplina”.
Si fatica a trovare l’utilità di tale adempimento. Interessa i consumatori? No, a meno di immaginare la “casalinga di Voghera” intenta a spulciare i report di sostenibilità prima di andare a fare la spesa. Interessa gli investitori? Nemmeno, perché l’illusione di un trattamento preferenziale per le imprese più sensibili ai fattori Esg è svanita nel nulla. Come certificano i dati in arriva da Regno Unito e Usa, che hanno ricevuto ampio risalto sul Wall Street Journal e sul Financial Times.
Tali e tanti sono i dubbi e i mal di pancia tra le imprese che proprio mercoledì l’Europarlamento ha approvato una proposta della Commissione per ritardare di altri 2 anni l’applicazione di 8 standard settoriali di rendicontazione. Si tratta dei nuovi standard europei di rendicontazione della sostenibilità (“Esrs”), che si articolano in due standard “trasversali” (o cross cutting), cinque standard ambientali, quattro standard sociali e uno standard di governance. Un percorso di guerra.
Allora – in ossequio alla massima secondo cui se una cosa non serve a nulla, allora serve a qualcos’altro – questo ennesimo carico burocratico europeo servirà per una “torsione ideologica” della finalità e della gestione d’impresa. Non basterà più osservare le leggi, bisognerà anche spiegare cosa si fa per salvare il pianeta, salvo non esserci alcuna relazione causa effetto tra le azioni e i risultati. Roba da far sfigurare Orwell.
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UE, norme ESG • Estratto da "BUONI PROPOSITI"
24 gennaio 2024
Aziende e Report di Sostenibilità
Giuseppe Liturri e Sergio Giraldo rispondono al quesito di Pietro.
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BUONI PROPOSITI?
Trasmissione del 22 gennaio 2024
"Sono già in corso le operazioni volte alla vendita di porzioni dei beni nazionali. Pur facendo affidamento sulle risposte evasive riguardo all’eventualità di mettere sul mercato una parte significativa delle azioni dell’Eni, il governo sta attuando il suo piano di privatizzazioni.
Si prevede di cedere fino al 4% del gigante petrolifero, corrispondente alla quota attualmente detenuta dal Ministero dell’Economia, al fine di ottenere un introito di circa due miliardi di euro. Va sottolineato che ciò non comporterebbe la perdita del controllo pubblico, poiché oltre al 4%, un ulteriore 27% è ancora in mano alla Cassa Depositi e Prestiti, l’istituzione finanziaria legata all’Erario.
L’indiscrezione si allinea con la strategia generale delineata da Giorgia Meloni, che prevede la vendita parziale delle risorse mantenendo comunque la maggioranza. Questo è parte di un piano ambizioso volto a raccogliere circa venti miliardi entro il 2026.
«L’impostazione del governo è lontana anni luce dal passato, quando erano regali milionari a fortunati imprenditori ben inseriti», assicura Meloni, «la mia idea è ridurre la presenza dello Stato dove non è necessaria e riaffermarla dove lo è. Questo riguarda il tema della riduzione di quote di partecipazione statale che non riduce il controllo pubblico, e questo potrebbe essere il caso di Poste, mentre penso ci sia la possibilità di fare entrare i privati in società dove c’è il totale controllo pubblico come in Ferrovie».
I proventi non saranno destinati alle spese correnti, come ad esempio la prossima manovra, ma verranno impiegati per ridurre il considerevole debito pubblico italiano, attualmente superiore ai 2.800 miliardi di euro e previsto in una lieve discesa in proporzione al PIL. In termini pratici, l’ammontare sarebbe una frazione minima del debito complessivo, ma costituirebbe un segnale rassicurante per gli investitori stranieri. Quest’anno, infatti, l’Italia chiederà loro finanziamenti per circa 350 miliardi di euro attraverso l’emissione di titoli di Stato, senza poter contare sul supporto diretto degli acquisti della Banca Centrale Europea.
Per raggiungere l’obiettivo di privatizzazione, è evidente che la cessione dell’Eni da sola non sarà sufficiente. Sul tavolo è stata posta anche l’opzione di mettere in vendita una parte di Poste Italiane, attualmente posseduta al 64% dallo Stato. La decisione su quanto lasciare ai privati è ancora in sospeso: ridurre la quota pubblica del 50% frutterebbe quasi quattro miliardi di euro, mentre mantenere il 51% porterebbe un introito notevolmente inferiore, pari a 1,7 miliardi. In ogni caso, i tempi previsti sarebbero più estesi rispetto a quelli impiegati per la cessione del 25% di Monte dei Paschi di Siena a novembre, che è avvenuta in modo rapido ma senza garantire il massimo guadagno.
Inoltre, l’attenzione sembra rivolta anche alle Ferrovie dello Stato, attualmente interamente di proprietà pubblica. La vendita del 49% potrebbe generare fino a cinque miliardi di euro, anche se finora si è parlato di un coinvolgimento minoritario di privati solo nella società responsabile del trasporto ferroviario, lasciando binari e stazioni sotto il controllo pubblico. Quest’idea era stata proposta otto anni fa, ma fino ad ora non ha visto alcun sviluppo concreto.
Secondo quanto riportato dalla Stampa, la lista delle partecipate coinvolte potrebbe estendersi includendo Fs, Enel, Snam, Terna e Leonardo. Il governo avrebbe l’intenzione di raccogliere 21 miliardi di euro entro il 2026 attraverso queste operazioni. Tuttavia, la cessione di quote di Eni e Poste potrebbe avere un impatto limitato sulla riduzione del debito e comporterebbe la rinuncia ai dividendi, poiché il 4% del gruppo di Descalzi, ad esempio, valutato a 2 miliardi, comporterebbe una riduzione degli interessi annui di soli 94 milioni di euro.
Il ministro dell’Economia sembra desideroso di trovare investitori per finanziare il debito e raccogliere risorse in vista della manovra, ma, secondo Repubblica, al momento i grandi capitali non sembrano particolarmente interessati a queste iniziative. La sfida potrebbe quindi essere quella di attrarre investitori disposti a partecipare a queste operazioni di razionalizzazione del patrimonio delle partecipate."
G. Pirani, 20.01.2024 uiFinanza
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In ricordo di @EsteriLega
Estratto dalla trasmissione "L'anno che verrà" del 15 gennaio 2024
Il ricordo di coloro che lo hanno conosciuto personalmente, non solo in rete.
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L'ANNO CHE VERRÀ
Trasmissione del 15 gennaio 2024
"Il Mar Rosso è solitamente una delle rotte commerciali più trafficate al mondo. Circa il 12% del commercio mondiale, quasi il 30% del traffico marittimo di container, e quantità significative di petrolio, passano attraverso il Canale di Suez a nord e lo Stretto di Bab el-Mandeb a sud.
Quest’ultimo congiunge il Mar Rosso al Golfo di Aden, e quindi all’Oceano Indiano e alle ricchezze del continente asiatico.
Ai due lati dello stretto si fronteggiano Gibuti, sulla costa africana, e lo Yemen, all’estremità sudoccidentale della Penisola Arabica. Ed è proprio dallo Yemen, uno dei paesi più poveri del mondo, che il movimento sciita di Ansar Allah, meglio noto come gli “Houthi” (dal nome del fondatore Hussein al-Houthi), ha lanciato la sua sfida a Israele e agli Stati Uniti.
Lo scorso 31 ottobre, il gruppo (considerato un alleato dell’Iran) ha di fatto dichiarato guerra a Israele. Con un comunicato, esso annunciò di aver lanciato (già nei giorni precedenti) missili balistici e da crociera, e un gran numero di droni, contro vari obiettivi israeliani. L’attacco era inteso a supporto dei palestinesi di Gaza costretti a fronteggiare “l’aggressione israelo-americana”, alla luce della “debolezza dei regimi arabi e della collusione di alcuni di essi con il nemico israeliano”.
Questi missili e droni non rappresentavano un pericolo particolarmente serio per Israele. Più grave era la potenziale minaccia che il gruppo di Ansar Allah rappresentava per il traffico commerciale israeliano in questo tratto di mare. La distanza tra le frastagliate coste del Mar Rosso è relativamente esigua, e in corrispondenza dello Stretto di Bab el-Mandeb non supera i 26 km.
Il 19 novembre, emersero alcuni video che mostravano forze Houthi calarsi da un elicottero e requisire la Galaxy Leader, una nave battente bandiera delle Bahamas, ma di proprietà di una compagnia co-fondata da un miliardario israeliano.
A questa incursione seguirono ripetuti attacchi a navi commerciali gestite o possedute da israeliani nel Mar Rosso. A inizio dicembre, il movimento di Ansar Allah estese la propria sfida a tutte le navi provenienti da, o dirette verso Israele, a prescindere dalla loro proprietà.
Il 18 dicembre, gli USA e alcuni loro alleati hanno annunciato l’operazione “Prosperity Guardian”, una forza navale multinazionale a guida americana finalizzata a garantire la sicurezza delle navi commerciali nel Mar Rosso. Gli attacchi degli Houthi sono però proseguiti, e molte compagnie internazionali hanno continuato a tenersi alla larga da questo braccio di mare.
Il 3 gennaio, Washington e Londra hanno lanciato un ultimatum ad Ansar Allah, minacciando di bombardare le postazioni del movimento nello Yemen se gli attacchi alle navi commerciali non fossero cessati.
Per tutta risposta, gli Houthi hanno eseguito per la prima volta un attacco con un drone acquatico, poche ore dopo l’annuncio dell’ultimatum, e il 10 gennaio hanno orchestrato un'altra azione su vasta scala con droni e missili, intercettati dalle navi da guerra americane e britanniche.
Infine, la notte del giorno successivo, Washington e Londra, con il supporto logistico di una manciata di altri paesi, hanno deciso di rompere gli indugi compiendo attacchi aerei e missilistici contro oltre 60 obiettivi in 16 postazioni militari degli Houthi in territorio yemenita, in particolare nel porto di Hodeidah e nella capitale Sanaa.
Ansar Allah, un movimento che è sopravvissuto a più di 8 anni di guerra con i sauditi, e che non può certamente essere eliminato con dei semplici attacchi aerei, ha già risposto che non si lascerà intimidire e risponderà all’offensiva angloamericana.
Sebbene militarmente dipendente dall’Iran, quello di Ansar Allah rimane però un movimento fieramente autonomo. La decisione di dichiarare guerra a Israele, e di prendere di mira il traffico navale legato allo stato ebraico, è dovuta, oltre che alla solidarietà nei confronti di Gaza, a interessi del gruppo.
Gli USA, dal canto loro, si trovano a dover fare i conti con una minaccia all’ordine internazionale da essi presieduto, che è in gran parte frutto delle loro passate politiche fallimentari nella regione.
La sfida lanciata dagli Houthi complica il panorama regionale e ne inasprisce le tensioni. Essa conferma che il protrarsi del catastrofico conflitto di Gaza sta riattivando numerosi focolai regionali più o meno latenti, i quali si evolvono poi secondo dinamiche proprie ed autonome, ma per altri versi interconnesse.
Con gli attacchi aerei americani e britannici, una spirale di escalation sembra definitivamente essersi innescata nel Mar Rosso. Il rischio è che una progressiva saldatura di questo ed altri focolai di crisi porti a una pericolosissima e incontrollabile deflagrazione regionale."
(estratto da: Roberto Iannuzzi, Intelligence for the People)
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